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Buon compleanno, Luciana!

La ricordiamo sempre con affetto e nostalgia, in particolare nel giorno dell’anniversario della sua nascita, a 5 anni dalla scomparsa. E lo facciamo ogni tanto con dei frammenti dalle sue memorie d’infanzia:

“Mio nonno, scultore nel settore dell’oggettistica in legno, costruiva umili oggetti del quotidiano.

Quando ero piccola costruì per me un cavallo di legno – più che un cavallo era un asino, che in dialetto veneto chiamavano muss – mio nonno però mi disse che era una mussa (un’asina). Era fatta di incastri, di strane forme geometriche; su una delle gambe aveva scavato dei gradini perché io, piccolina, potessi salire in alto.

Quando gli chiesi perché la mussa non fosse a dondolo, oppure con ruote per poter correre, mi rispose che non c’era bisogno che il “mio cavallo” si muovesse, bastava che io sbrigliassi la mia fantasia: la fantasia – diceva – corre più di qualsiasi gamba o ruota.

La tua mussa te l’ho costruita molto alta perché tu possa salire e vedere più lontano, al di sopra delle cose piccole del quotidiano. Devi solo e sempre fare attenzione a non cadere, poi chiudi i tuoi piccoli occhi e corri, corri lontano e ovunque in groppa alla tua fantasia – vedrai che la tua mussa sarà la più veloce del mondo e ti porterà dove tu vorrai. Chiesi: “Nonno, cos’è la fantasia?” mi disse: “La fantasia è una carrozza su cui il cielo è salito per fare una passeggiata sulla terra”. Intuendo che non avrei capito, prese una piccola tavola di legno, su di un pezzo di carta disegnò quattro cerchi, li ritagliò, li accostò all’asse di legno e mi disse: questa è la carrozza su cui tu puoi vedere il cielo salire. Poi, su un secondo foglio, tracciò delle rette appese a piccoli triangoli acuti – erano fughe di piccole frecce – e mi disse: “Questo è uno stormo di rondini che fa correre la tua carrozza. Vedi, le rondini possono anche far volare la tua carrozza”. Io, grazie alle parole poeticamente magiche di mio nonno, ho realmente visto il cielo passeggiare su una carrozza e la mia carrozza correre su un prato giallo inondato di sole che poi improvvisamente volava e spariva inghiottita da nuvole multicolori.

Altro particolare che ricordo nitidamente della mia mussa erano le due grandi orecchie a triangolo acuto ritte sulla testa con due buchi al centro. Chiesi perché aveva fatto quei due grossi buchi nelle orecchie. Mi rispose che non erano buchi, ma occhi. L’abbinamento orecchie/occhi significava che bisogna sempre SENTIRE il bisogno di VEDERE le cose – solo così avrei imparato non a guardare, ma a vedere le cose e a capirle. Continuava a sottolineare la parola bisogno di sentire e l’importanza di VEDERE e non solo di guardare.”

FONDAZIONE LUCIANA MATALON

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