Verso le architetture dell’Io

Verso le architetture dell’Io
Un itinerario di ricerca di Luciana Matalon

Nel folto repertorio artistico di Luciana Matalon i contributi dapprima scientifico-tecnologici e quindi particolarmente nelle opere più recenti psicologico-filosofici mi sembrano evidenti, sicché una lettura esclusivamente estetica della sua arte ritengo sia riduttiva. Associare la stupefazione per le imprese spaziali degli anni ’60-‘70 con la pittura, fu per Matalon come inoltrarsi gioiosamente nel paese delle meraviglie, illusorio ma non troppo, dal momento che il progresso umano rendeva reale iEconato romantico a varcare le nuove colonne di Ercole per approdare ai misteri del cosmo.

L’iconografia ricorrente per questo primo periodo della sua produzione, e cioè pianeti dalla grandiosità luminosa o soli preadamitici che sovrastano tessiture di foreste cosmiche, concretizza l’ordo rationalis per cui il riferimento al reale esiste certamente, ma non è prioritario, filtrato com’è da un sostrato psichico, fantastico. In altre parole l’urto emozionale con il fatto di cronaca (nel nostro caso l’impresa spaziale) viene manipolato dall’attitudine meditativa sempre presente nell’artista milanese, la quale annulla la contingenza dell’evento ricostruendo il valore universale di esso, ovviamente con strumenti pittorici. Di qui ad esempio il cromatismo calligrafico, puro, intenso, profondo che fa da supporto alle forme sferiche in unità organica con lo spazio circostante. Esemplari in tal senso alcune opere documentate nel catalogo per la mostra alla Galerie Bürdeke di Zurigo nel 1975: Foresta cosmica, Pianeta «Amir», Alba cosmica, Foresta astrale n. 1 e n. 2.

Talora, sempre in queste opere degli anni ’70, il pittoricismo grafico si accentua, talché la reiterata presenza del segno che si scapriccia nel solcare incontrollabili traiettorie sì da formare una polifonica velatura che spesso coarta le forme sferiche (si veda a questo proposito l’opera Solitudine riprodotta nel citato catalogo) attualizza un dualismo cosmologico-psicologico. Infatti le trame grafiche chiaramente simboliche di stati d’animo come lo smarrimento al cospetto dell’abisso misterioso della vita, dissolvono e l’intensità luminosa e la nettezza dei contorni dei corpi celesti. Proprio l’intelaiatura o intreccio grafico funge da raccordo con la produzione successiva di Matalon (cfr. i cicli stupendi Dagli scavi della memoria e Archeologia del pensiero), costituendo da una parte asserzione del limite e cioè consapevolezza del limite costante dell’eclisse, dall’altra invito ad una realtà viva oltre il labirinto in perenne necessità d’interpretazione. Estremamente interessante questo richiamo dell’artista al limite: se è vero che non sappiamo dove l’uomo potrà arrivare col progresso scientifico, è anche vero che sappiamo dove l’uomo non potrà mai arrivare data la sua limitatezza. L’artista Matalon si presta alla contemplazione del nuovo mondo (non più quello cosmico ma quello della psiche) con la stessa affettuosa ed esuberante passione emulsiona idealmente il velo rappresentato dall’arabesco segnico da cui si autogenerano immagini bidimensionali-frontali e allo stesso tempo si lascia coinvolgere da un innato desiderio ludico alla Penelope. La formatività del segno si consostanzia sia in termini di immagini che per le tessiture strutturali, seducenti nelle loro modularità allusive talora di topografie aeropittoriche.

Siamo così ad un nuovo periodo della produzione artistica di Matalon, con riferimento specifico alla psiche. Introspezione, immaginazione, fenditure, pulsazioni che debordano, impronte di esegesi sempre in fieri, tentativo di approdare alle radici della mente, spessori materici adiacenti a superfici levigate e brillanti, intrighi dai colori minerali, impronte abrase ma non del tutto e quindi sufficienti all’analista. Il demiurgo Matalon si sente attratta da questa grande foresta dell’inconscio seguendone i sentieri che poi sono solchi, tagli, ferite, asole poste per introdurre, per velare-svelare oltre la maglia la prodigiosa ricchezza dell’io. Il contenuto appare come per allusioni, secondo i canoni classici della poetica del frammento, ubbidendo anche allo spirito vitalistico dell’artista il cui gesto — all’atto di produrre trame — è repentino, frenetico fino al punto di violare le leggi costruttivistiche. Ma tant’è; l’inconscio è quantomeno a-razionale, sempre tortuoso e irregolare, fortemente barocco negli intrecci. Simbolicamente le cattedrali gotiche verso lo spazio dipinte da Matalon nei primi anni della sua carriera pittorica hanno ceduto il passo alle cattedrali barocche dell’io, evoluzione certo ed assimilazione d’una cultura di tipo esistenzialista che tanto ha influito sull’arte contemporanea. Nei due momenti ai quali si è fatto riferimento, di scandaglio dell’universo e dell’io, Matalon ha compiuto — per così dire — un viaggio rispettivamente nello spazio e nel tempo; un tempo che ha lasciato la sua impronta, i suoi graffiti nella memoria, nella psiche (suggestivo il titolo delle ultime opere Archeologia della psiche), conferendo un’aura di sacralità, di silenzio medioevale.

Ora i suoi quadri e sculture diventano pagine scritte con alfabeti antichissimi da decifrare, sezioni di tronchi secolari la cui potenza espressiva è anche affidata agli strati concentrici del legno e il tonalismo cromatico da saio penitenziale interagisce efficacemente nelle composizioni. Però la melanconia quaresimale del colore anziché frenare, mi pare che esalti la preziosità tangibile sempre in Matalon e totalmente apologetica nelle sculture, nei bronzetti e nei gioielli, ai quali Luciana ha dedicato molta attenzione. Lo spazio pittorico in queste opere di anamnesi archeologica, a differenza del periodo cosmico, è negato come profondità ed esaltato quale superficie atta a recepire ideogrammi che si dispongono in forma per lo più circolare stratificata. L’esaltazione dello spazio come superficie in Matalon si affianca all’uso di neumi elementari, filiformi, quali molecole genetiche che si strutturano ritmicamente con intensità disegnale, brulicanti come in un campo magnetico. Il gioco appare raffinato e il viaggio a ritroso nel tempo rappresenta la tanatologia del reale che confidenzialmente cede il posto all’epifania del logos.

Leo Strozzieri
Settembre 1989

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