Dal volume «Le scelte di Sgarbi»

Dal volume «Le scelte di Sgarbi»

Nelle opere di Luciana Matalon la scrittura assume e ribalta la sua intrinseca vocazione narrativa, per presentarsi come elemento comunicativo visuale, e per imporre la sua essenza cifrata. Con i suoi lavori l’artista trae dall’inconscio le motivazioni espressive di un tracciato mnemonico e analogico, dove la parola sembra aver percorso a ritroso la sua stessa evoluzione, risalendo fino alle origini primordiali del graffito e del geroglifico.

Affabulatrice di scritte non classificabili, Matalon crea suggestioni simboliche di civiltà perdute, sublimando oniricamente quello che è possibile ottenere da una tecnica e da una professione pittorica che si avvale di un’ottima tessitura cromatica e compositiva. In questo gioco di colori dove il segno è emblematico e dove l’insieme ha l’intensità di un racconto compiuto, emerge una consapevolezza estetica che si approfondisce nella rivisitazione di una temporalità antica, una sorta di viaggio archeologico in un paesaggio immaginifico dove il tempo si è arrestato alle origini della storia scritta.

L’artista cataloga i suoi reperti fantastici attraverso un’immaginazione inesauribile che si esprime in uno stile quanto mai personale e riconoscibile, dove sono in gioco le variazioni dialettiche tra le intenzioni figurali e l’elaborazione astratta del materiale narrativo. Il sogno utopico di raggiungere mondi e realtà perdute si formalizza in questi lavori con grande eleganza, suggerendo la sotterranea necessità di celebrare un rito alchemico e metamorfico, o piuttosto di svelare una relazione esclusiva con un simbolismo iconico e segnico, che si direbbe ereditato dal surrealismo storico. Fra sogno e contemplazione di un paesaggio mentale, la pittrice si colloca nel territorio dell’ermetismo poetico con la forza di una vocazione ineludibile.

La parola scritta e l’impaginato denso di allusioni culturali sono soprattutto forme sensibili, le quali proprio nella non leggibilità elaborano la loro dimensione metaforica ed estetica. Fondati sulla complessità di una lacerazione interiore, che vorrebbe rendere trasparente quello che nella coscienza non è sempre riferibile, questi lavori elaborano lontananze che diventano corporee nel tessuto di un’originale e variegata vivacità compositiva. Ma dopo essersi addentrati in questa tecnica fatta di improvvisi figurali misteriosi, è altrettanto interessante penetrare nel mondo plastico di Luciana Matalon, che si esprime nella scultura con modalità espressive analoghe a quelle della pittura, mantenendo cioè lo stesso gergo criptico, benché proiettato nello spazio. In questa evoluzione volumetrica gli echi arcani della scrittura si aprono a una pulsazione quasi sonora, accedendo persino a una dimensione monumentale in quanto capace di espandersi nella reinvenzione di un’archeologia attendibile, solenne e grandiosa.

Si tratta qui di elaborazioni plastiche il cui valore qualitativo è dato da una manipolazione accorta, attenta alle potenzialità segniche del materiale bronzeo, capace di tracciare nell’aria segnali grafici, allusioni narrative e contorsioni arborescenti. Autrice intensa ed espressiva di invenzioni poetiche, le sue percezioni astratte e figurali tracciano innumerevoli variazioni lessicali che si avvalgono di un immaginario archetipo, il cui approfondimento linguistico ed estetico assume la valenza catartica di un’intima riconciliazione. La sua arte appare quindi come il frutto di una riflessione analitica che, essendo pervenuta al riconoscimento delle pulsioni del profondo, ha maturato la capacità di estrinsecarle creativamente in una dimensione visiva.

Vittorio Sgarbi
Ottobre 2004

FONDAZIONE LUCIANA MATALON

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